Il gioco del “facciamo che sono” era un must per me e mio fratello quando ancora eravamo piccoli; uno di noi due completava il “facciamo che sono” con il nome di un animale, o di un oggetto, ed entrambi dovevamo imitarlo come meglio potevamo. Chi di noi due lo riproduceva meglio, con forma, espressività ed interpretazione, aveva il diritto di proporre il successivo “facciamo che sono”. Poteva durare anche ore. Sembravamo quasi carini.
Ora giochiamo insieme al “facciamo che sono”; comincio io, va bene? Pronti…VIA!
Facciamo che sono… un’infermiera, o meglio, una studentessa che tra poco rischia quasi di laurearsi. Quasi, eh. Amo quello che sto studiando, amo tutto quello che significa essere un’infermiera: le notti in reparto, il prendersi cura nelle cose più semplici, la soddisfazione nel vedere che la persona si ricorda di te, la stima dei colleghi, la fatica nel lasciare tutto fuori e concentrarti sul tuo lavoro. Ma ne sentirai ancora parlare, tranquillo.
Facciamo che sono… figlia indisciplinata, sorella fastidiosa, amica complicata. Ma sempre con il sorriso.
Facciamo che sono… disegnatrice sui muri (solo quelli di camera mia, per ora; ma lo spazio si sta esaurendo, bisogna pensare ad un piano B), cantante in erba (nel senso che sembra che io mi sia appena fumata una canna quando canto, ma ti garantisco, ci metto il cuore), zia paziente (nonostante io abbia solo cugini, ma sono talmente piccoli che mi chiamano zia).
Facciamo che sono… oversize, e ad oggi, ventidue anni da che sono nata, posso dire che ci sto ancora lavorando. A volte sull’accettarmi senza cambiarmi, a volte sul cambiarmi senza accettarmi, a volte sull’accettarmi nel voler cambiare. Si insomma, un po’ una lavatrice in centrifuga. Ma avremo modo di parlare sicuramente anche di questo!